venerdì 18 giugno 2010

Romania, in piazza contro i tagli più duri d'Europa

Lunedì la Romania si fermerà. Se i sindacati riusciranno a ripetere il successo della manifestazione del 19 maggio a Bucarest, la più grande mobilitazione dai tempi della rivoluzione dell’89, il 31 maggio il paese verrà paralizzato. Resteranno chiuse le scuole. Si bloccheranno i trasporti. Gli ospedali assicureranno solo i ricoveri di urgenza.

I rumeni protestano contro il piano di “lacrime e sangue” imposto dal governo. Misure drastiche che prevedono tra l’altro il taglio del 25% degli stipendi per i dipendenti pubblici e del 15% delle pensioni e dei sussidi, oltre al licenziamento di 70 mila statali, pari al 5% della forza lavoro impiegata nel sottore amministrativo. La manovra è tra le più dolorose tra tutte quelle approvate in queste settimane dai governi europei. Ma secondo il primo ministro del partito liberal democratico Emil Boc è necessaria per riportare il deficit sotto controllo. I risparmi sulla spesa pubblica che in questo modo si ricaveranno, consentirebbero, infatti, di far calare il deficit dal 9% del Pil al 6.8%. Requisito chiesto come condizione imprescindibile dal Fondo monetario internazionale per sbloccare una nuova tranche di finanziamenti (850 milioni di euro) senza la quale la Romania si avvierebbe sulla strada della bancarotta.

La cura da cavallo rischia però di salvare i bilanci dello stato dalla Sindrome Grecia ma, contemporaneamente, di stroncare il paese già stremato da una crisi economica che qui non ha certo risparmiato colpi. Il prodotto interno lordo è passato da un +7,1% nel 2008 a un -7,2% nel 2009. Un tracollo che ha lasciato sul tappeto tante vittime, soprattutto tra i lavoratori delle aziende manifatturiere, in particolare operai, ma anche piccoli imprenditori, in special modo quelli del settore edilizio, che avevano approfittato del “smania cementizia” degli anni passati. La disoccupazione, che nelle aree più produttive del paese – Bucarest e le province occidentali – era quasi scomparsa nel decennio scorso – è tornata a salire e a causa dei continui licenziamenti ha raggiunto all’inizio dell’anno il 10% circa della forza lavoro, corrispondente a quasi un milione di persone.

Così dopo i lavoratori del privato che hanno già pagato un conto salato, ora tocca agli impiegati del pubblico impiego: insegnanti, ferrovieri, dipendenti delle aziende pubbliche. Ma il piano del governo non piace, in realtà, a nessuno. Tutti hanno in famiglia almeno una persona che sarà direttamente coinvolta dai tagli: la nonna pensionata con la minima, 400 lei (100 euro), già al limite della sopravvivenza; la zia maestra che con 800 lei (200 euro) al mese campava solo grazie a qualche lavoretto in nero. Per questo i sindacati il 19 maggio non hanno avuto difficoltà a portare a Bucarest sotto le finestre del palazzo del governo 50 mila manifestanti (la Gendarmeria ha parlato in realtà di 30mila). Tanta folla così in Piaţa Victoriei non la si vedeva dai tempi delle deposizione di Ceauşescu. Sotto accusa è la sforbiciata indifferenziata che colpisce senza gradualità la busta paga dell’ultimo impiegato come quella del dirigente della pubblica amministrazione, che può arrivare a guadagnare cinque volte tanto. In realtà una maggiore equità sociale nella manovra, l’ha chiesta anche il direttore del Fondo monetario internazionale, Dominque Strauss-Khan, che nei giorni scorsi, pur ribadendo la necessità di rimettere a posto i conti pubblici, ha suggerito una ricetta più soft fatta non solo di riduzioni di spesa ma anche di aumento di imposte sui rediti più alti, oggi molto favoriti da un sistema di tassazione che si regge su una “flat tax” del 16%, una sola aliquota dunque valida per tutti.

Tuttavia, la proposta di rivedere la tassazione è stata respinta senza mezzi termini. «Non è la scelta migliore per risolvere il problema», ha detto il presidente Traian Băsescu. «Se mantenessimo inalterata la spesa pubblica, avremo bisogno quest’anno di una crescita del 21% del Pil per coprirla». Una percentuale mai raggiunta nemmeno nei tempi più floridi post regime.

L’orientamento del governo è stata significativamente riassunta dal ministro alla finanze Sebastian Vladescu in un battuta: «I ricchi sono quelli che assumono i rischi, che innovano e che, in fin dei conti, creano ricchezza da ridistribuire». La via per la salvezza della Romania è dunque strettissima. O l’amaro calice dei tagli. O il default dello stato. In mezzo c’è, però, una crisi sociale che rischia di esplodere.

Pubblicato su Avvenire, 30 maggio 2010

2 commenti:

  1. Perchè il Divano? Per i Mondiali?
    Ah! Sorina, mi chiede se puoi inviargli il giornale a casa con l'articolo...io le avevo già spedito l'articolo via mail...
    Buona giornata!

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  2. Il divano perché non conosco un posto più comodo per leggere
    Se mi invii via mail l'indirizzo di Sorina, vedo cosa posso fare.

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