Pietro Terlizzi ha il corpo
cosparso di ustioni. A procurargliele sono stati i suoi compagni di “stanza”.
Reparto 8-bis dell’ospedale psichiatrico di Aversa. Per motivi in corso di
accertamento, la notte del 7 giugno scorso lo hanno aggredito, picchiato ed
infine gli hanno dato fuoco usando una bomboletta del gas. Dopo un mese, i
medici del nosocomio San Sebastiano di Caserta, dove è stato ricoverato
d’urgenza, non lo hanno ancora dimesso.
Il 2 luglio, A Barcellona Pozzo
di Gotto, in provincia di Messina, un altro internato si è impiccato. Si
chiamava Antonio San Filippo e aveva 47 anni. Secondo la norma, l’uomo era “dimissibile senza indugio”:
doveva essere affidato a una comunità terapeutica. Da tre anni stava invece in una cella, in attesa che i
medici trovassero un luogo per curarlo. Dopo l’ultimo rinvio, non c’è la ha
fatta più. Un compagno l’ha trovato con un lenzuolo avvolto intorno al collo,
ormai senza vita, alle 3.45 di notte.
Dopo anni di dibattiti,
finalmente una legge stabilisce una data per la chiusura degli Opg (Ospedali
psichiatrici giudiziari): il 31 marzo del 2013. Ma a pochi mesi dalla
dismissione, mancano ancora le strutture alternative capaci di ospitare i loro
pazienti. Così in questi luoghi d’«estremo orrore», come li ha definiti il
presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, continuano ad essere richiusi (
e a volte a morire) malati di mente che potrebbero stare fuori, se solo ci
fossero psichiatri, infermieri educatori in grado di prendersene cura.
Negli Opg vengono internati i
folli che hanno commesso un reato. Nei sei Opg presenti nel nostro paese
(Barcellona Pozzo di Gotto, Aversa, Napoli, Montelupo Fiorentino,Reggio Emilia,
Castiglione delle Stiviere) gli internati sono 1200. Il campionario di reati e
casi è vastissimo. Condividono gli stessi spazi il marito che ha sterminato la
famiglia in un raptus di follia, ma anche chi 20 anni fa si è spogliato sulla
piazza della chiesa, o uno come Dedé, che per aver chiesto l’elemosina sulla
tomba di Giovanni Paolo II e aver opposto resistenza alle guardie, si è fatto
due anni all’Opg di Aversa. Sogetti che la legge continua a ritenere
pericolosi, ma anche malati, la cui pericolosità sociale è cassata da anni che
restano dentro perché fuori, i Dipartimenti di salute mentale non riescono a
predisporre percorsi di
inserimento sociale, per manza di personale e servizi. In questi casi – e non
sono pochi – il magistrato di sorveglianza proroga la cosiddetta misura di
sicurezza . Una, due, tre volte. Chi entra in questo meccanismo, può finire
intrappolato per la vita. Non sono stati pochi, infatti, i casi di ergastoli
bianchi.
Nel 2010 la Commissione
d’inchiesta parlamentare presieduta dall’onorevole Ignazio Marino ha denunciato
le condizioni di estremo degrado in cui vertono quasi tutti gli Opg del nostro
Paese. A parte qualche eccezione (Castiglione delle Stiviere e Secondigliano)
negli altri casi edifici vecchi, corrispondenti a volte agli ex manicomi
criminali costruiti durante il Fascismo e da allora non più ammodernati.
Strutture sovraffollate, dove si sta in otto in celle da quattro. Ambienti
sporchi con servizi igienici a vista. Carceri più che luoghi di cura in
cui «la somministrazione di
farmaci è una forma di contenzione diffusa», e quando a placare l’ira non bastano
le medicine, si può finire ammanettati mani e piedi ad un letto. Insomma,
luoghi «inconcepibili in qualsiasi paese appena civile», per citare ancora il
presidente Napolitano.
Proprio i risultati shock delle
viste a sorpresa negli Opg, condotte dal senatore Marino, hanno portato il 17
febbraio 2012 ad approvare la legge che stabilisce il loro definitivo
superamento entro il 31 marzo del 2013. Da quel momento in poi, secondo quanto
scritto nella norma, i pazienti internati negli Ospedali psichiatrici
giudiziari, che possono essere reinseriti nella società, (il 40% del totale)
dovranno essere presi in carico dai Dipartimenti di salute mentale e affidati a
comunità terapeutiche. Quelli con una pericolosità sociale tale da giustificare
la detenzione dovranno essere ospitati e curati da nuove strutture. La legge
stanzia anche i fondi: 120 milioni nel 2012, 60 nel 2013 per la realizzazione.
Altri 28 milioni nel 2012 e 55 all’anno dal 2012 per la gestione.
Una prima bozza del decreto
attuativo, definita a primi di giugno, specifica anche «le caratteristiche, le
dimensioni e gli standard di sicurezza delle nuove strutture per i malati
mentali che hanno commesso un reato ritenuti socialmente pericolosi».
Nonostante i passi concerti
compiuti dalle istituzioni verso il superamento degli Opg, il futuro degli
internati è, tutt’altro che certo. È quasi scontato, infatti, che il 31 di
marzo non potranno traslocare tutti i pazienti nelle nuove strutture. Sarebbe,
infatti, già un miracolo se per quella data le Asl, cui la bozza del
decreto-attuativo affida il compito di realizzarle e gestirle, riuscissero a
iniziare i lavori, dal momento che le Regioni difficilmente potranno spendere i
soldi stanziati dal governo prima di due, tre anni. Ma non è il rispetto della
data ad allarmare il mondo della associazioni di volontariato e delle
cooperative sociali che da anni spinge per arrivare a questo risultato. Le
preoccupazioni riguardano la natura delle cosiddette nuove strutture. C’è un
dettaglio che insospettisce. La loro dimensione. Nella bozza si indica una
capienza massima di 20 posti letto. Troppi per delle comunità terapeutiche che
normalmente non superano i 6. I sostenitori della campagna StopOpg (alla quale
hanno aderito anche molte sigle del mondo associativo di matrice cattolica)
paventa il rischio che spuntino in ogni regione tanti mini-Opg, che dei vecchi
ospedali-carcere, continuerebbero a condividere metodi e pratiche. Un esito
modesto e insoddisfacente le denunce della commissione Marino e i
pronunciamenti delle più alte cariche dello Stato. Qualcuno arriva anche sospettare che ci sia in corso
un’operazione un po’ gattopardesca. Infatti, nulla vieta al momento che le
nuove comunità sorgano all’interno degli stessi Opg, trasformati con un
semplice intervento di maquillage per rispettare almeno formalmente la legge.
Resta, inoltre, l’incognita sugli ex internati, dimissibili, affidati a
Dipartimenti di salute mentale. Negli ultimi anni le Regioni, a corto di
finanziamenti, hanno tagliato i servizi sanitari territoriali, chiudendo
comunità terapeutiche, licenziando psichiatri e infermieri. E soprattutto
quelle obbligate dal Ministero della salute ai piani di rientro non potranno
certo permettersi investimenti in un ambito, per altro, quello della salute
mentale, poco popolare. Insomma
pare proprio che il 31 marzo non sarà un traguardo. Ma il punto di punto di
partenza della lunga marcia per voltare definitivamente pagina.
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